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RITARDI DI LINGUAGGIO

Le differenze individuali che caratterizzano lo sviluppo del linguaggio sin dai primi anni di vita, possono celare condizioni di ritardo transitorio nella comparsa o nello sviluppo del linguaggio, oppure possono essere espressione di un procedere atipico che può preludere un successivo disturbo della comunicazione e/o del linguaggio.

Nella letteratura internazionale, i bambini che fra i 2 e i 3 anni presentano un ritardo nell’acquisizione del linguaggio, in assenza di patologie neurologiche, sensoriali e cognitive, sono considerati a rischio.

I criteri per identificare questi bambini sono: un vocabolario espressivo inferiore o uguale al 10° percentile a partire dai 24 mesi e/o assenza di linguaggio combinatorio a partire dai 30 mesi (Desmarais et al., 2008; 2010).

Dati epidemiologici stimano che circa il 5-8% di bambini in una fascia di età prescolare mostra un ritardo nello sviluppo del linguaggio e, di questi, una percentuale variabile tra 20-70% riceverà più tardi una diagnosi di disturbo di linguaggio.

I bambini  parlatori tardivi sono definiti  in  una varietà di modi perché il termine “parlatori tardivi” non è una etichetta diagnostica ma un segno clinico, infatti alcuni bambini, senza trattamento, rientrano nei normali valori di sviluppo del linguaggio.                                       

La definizione di parlatori tardivi implica che diverse malattie possono portare al segno clinico di parlatori tardivi.

Lo scopo del medico è identificare la malattia che determina questo segno clinico: un approccio di primo livello per bambini parlatori tardivi, all’intervento diretto preferisce un monitoraggio dell’evoluzione spontanea del linguaggio, tramite controlli regolari a scadenze temporali ben definite (ogni 3-6 mesi tra i 2 e i 3 anni e ogni 6-12 mesi tra i 3 e i 5 anni).

              

L’individuazione di INDICI DI RISCHIO sensibili è in grado di discriminare tra parlatori tardivi destinati ad evolvere in disturbi del linguaggio, ritardi di linguaggio solo temporanei e ritardi come sintomo di “altro”.

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